Dietro un povero con l’ombrello aperto

Nell’ottobre del 1886 entrò a Valdocco un ragazzino di Pontecurone (Alessandria), figlio di un povero selciatore di strade. Si chiamava Luigi Orione.

Quando aveva solo dieci anni, per aiutare la famiglia poverissima, aveva lasciato la scuola e si era andato a inginocchiare vicino al papà, nella sabbia umida, a mettere luna accanto all’altra le pietre che selciavano le strade, e che a quel tempo sostituivano l’asfalto. Bisognava ordinarie bene, e spingerle nel terreno con piccoli colpi di un martello di legno.

Era un lavoro pericoloso per tutti, specialmente per i ragazzi, perché l’umidità della sabbia dai ginocchi saliva in tutto il corpo, e faceva ammalare e morire di artrite. Eppure bisognava farlo per tirare avanti la famiglia. Anche quando pioveva, e attraverso le pietre ruscellava l’acqua, rannicchiato sotto un grande ombrellone, Luigi Orione metteva le pietre nel terreno e le picchiava delicatamente col martello di legno.

Un giorno, mentre lavorava così sotto l’ombrello, si fermò vicino a lui un mendicante smunto e tremante. Mentre l’acqua gli rigava la faccia, tese la mano e disse:

  • La carità, per amor di Dio.

Luigi, 10 anni, fu come ipnotizzato da quella miseria. Si alzò, andò a prendere il panino che aveva ravvolto nella giacca perché non si bagnasse, e lo diede a quel miserabile. Poi gli tenne l’ombrello aperto sulla testa, e siccome mangiando il povero aveva ripreso ad andare per la sua strada, Luigi si mise a seguirlo sempre tenendo l’ombrello aperto. Aveva fatto duecento metri, quando il padre gli gridò:

  • Luigi! Ma dove vai?

Il ragazzino fu come ridestato da quel richiamo, e chiedendo scusa al mendicante tornò indietro.

  • Ma dove stavi andando? – gli domandò il padre irritato.

Luigi non rispose. Non sapeva. Ma dietro quei sotto-poveri sarebbe andato per tutta la vita.

Tra il vecchio prete e il ragazzo era scattata una scintilla

Siccome era molto buono, il parroco l’aveva fatto accettare dai francescani di Voghera. Ma si era ammalato e aveva dovuto tornare a casa. Allora il parroco si era rivolto a don Bosco, e Luigi era stato accettato a Valdocco.

Quando Luigi arrivò, don Bosco stava vivendo gli ultimi bagliori della sua vita. Consumato dai viaggi e dai debiti, scendeva raramente tra i suoi ragazzi. Ma ogni ora che riusciva a passare con loro era un soffio di vita che tornava in lui. Camminando adagio scherzava, domandava, rispondeva, s’interessava di tutti. Aveva un sorriso e un amore che nessuno avrebbe mai dimenticato.

Luigi rimase affascinato, incantato da don Bosco. Appena lo vedeva da lontano, lo salutava gridando, agitando il suo berretto, e gli correva vicino.

Tra le centinaia che si stringevano attorno a don Bosco, disputandosi i posti più vicini, Luigi Orione riusciva sempre ad arrivare in prima fila. Lo fissava, gli sorrideva. Tra il vecchio settantunenne e il ragazzino di Pontecurone era scattata una scintilla che avrebbe bruciato nel cuore di Luigi per tutta la vita.

Don Bosco scherzava con lui. Gli domandava se la luna del suo paese era più grande di quella di Torino, e vedendolo ridere gli diceva in piemontese: «Tses prove ‘n faôché» (Sei proprio «uno che fa nevicare», cioè un sempliciotto) .

Aveva un grande desiderio, Luigi: confessarsi da don Bosco. Ma don Bosco era alla fine delle sue forze (mancavano 14 mesi alla sua morte), e confessava solo i ragazzi più grandi che stavano per diventare salesiani.

Cosa fece Luigi per ottenere un posto nella fila di quelli che avevano diritto a confessarsi da don Bosco? Non lo sappiamo. Forse regalò a qualcuno la sua merenda. Ad ogni modo ebbe quel sospiratissimo posto, e decise di prepararsi seriamente.

Luigi, dammi tuoi peccati

Entro nella chiesa di Maria Ausiliatrice, prese uno dei cartelli appesi vicino ai confessionali (che allora esistevano, elencavano tutti i peccati possibili per aiutare la gente a fare un buon esame di coscienza). Per essere sicuro di confessarsi bene, ricopiò tutti i peccati, si accusò di tutto. Riempi complessivamente tre quadernetti di peccati. Tra il resto si accusava di «avere negato il giusto salario agli operai e di avere «oppresso i deboli. Non capiva cosa volesse dire, ma meglio accusarsi di tutto, così era sicuro che Dio l’avrebbe perdonato. A una sola domanda rispose recisamente di no: «Hai ammazzato?. «No, scrisse, questo no».

Coi quadernetti ben stretti in tasca andò alla stanza di don Bosco, attese il suo turno, e s’inginocchiò accanto al seggiolone. Don Bosco lo guardò, gli sorrise con amore e con un pizzico di allegria:

  • Bravo, Luigi. Sono contento che sei venuto. E adesso dammi i tuoi peccati.

Luigi cadde dalle nuvole. Come sapeva don Bosco che… Ad ogni modo tirò fuori il primo quadernetto. Don Bosco lo prese, lo stracciò in minutissimi pezzi, come coriandoli, e lo gettò nel cestino. Poi sempre sorridendo:

  • E adesso dammi anche gli altri.

Luigi tirò fuori anche gli altri due. Fecero la stessa fine. A questo punto don Bosco gli sorrise con un affetto che Luigi non avrebbe mai dimenticato, e disse:

  • La tua confessione è fatta. Non pensare mai più a quello che hai scritto. E ricordati che noi due saremo sempre amici. Sempre amici.

Quell’amicizia di un vecchio prete che stava ormai andando verso Dio, Luigi Orione la custodì nel cuore come il più grande tesoro. Quando seppe che stava agonizzando, offrì seriamente a Dio la sua vita in cambio di quella del suo amico.

Quando, dopo una notte passata a pregare e a piangere sulla tomba di don Bosco, capì che lui non lo voleva salesiano, ma a capo di un’altra Congregazione per i ragazzi sotto-poveri, gli obbedì con il cuore sanguinante.

E tra i ragazzi poverissimi dei suoi oratori dirà decine di volte: «Camminerei sui carboni ardenti per vedere ancora una volta don Bosco e dirgli grazie».

(tratto da “Festeggiamo Don Bosco”, Teresio Bosco, 1987)