Per esattezza storica bisogna dire che, in un primo tempo, Don Bosco non pensò a fondare il ramo femminile della sua Famiglia; vi si indusse soltanto quando ripetute illustrazioni celesti e i rinnovati consigli di Pio IX lo convinsero che quella era la volontà di Dio. Un profetico accenno alla fondazione della sua seconda Famiglia religiosa lo si intravede nel sogno che raccontò il 6 luglio del 1862.

Stanotte, disse, ho fatto un sogno singolare. Sognai di trovarmi insieme con la Marchesa Barolo. Passeggiavamo su di una piazzetta che metteva in una grande pianura. Io vedevo i giovani dell’Oratorio a correre, a saltare, a ricrearsi allegramente. La Marchesa si mise a discorrere dei miei giovani e mi disse:

  • Va tanto bene che ella si occupi dei giovani, ma lasci a me soltanto la cura di occuparmi delle ragazze: così andremo d’accordo.

Io le risposi:

  • Ma mi dica, mi dica un poco: Nostro Signore Gesù Cristo è venuto al mondo solo per redimere i giovani o anche le ragazze?
  • Lo so – ella rispose – che Nostro Signore ha redento tutti, ragazzi e ragazze.
  • Ebbene, io devo procurare che il sub sangue non sia sparso inutilmente tanto per i giovani quanto per le ragazze».

Don Francesia ricordava di aver udito dallo stesso Don Bosco che due volte aveva sognato di trovarsi in Piazza Vittorio a Torino e di aver visto un gran numero di ragazze che giocavano e parevano abbandonate a se stesse. Appena videro Don Bosco, abbandonarono i loro giochi e corsero attorno a lui gridando: «Viva Don Bosco!». E lo supplicavano di prendersi cura di loro.

Don Bosco, narrando il sogno, disse: «Io cercavo di allontanarmi da loro dicendo che non potevo, che altri sarebbero venuti in loro aiuto, perché la mia missione era per i giovani e non per le fanciulle; ma esse insistevano. C’era specialmente un gruppo di giovani più adulte che parevano estranee a quei divertimenti. Esse, rivolte a me con aria pietosa, dicevano:

  • Come vede, noi siamo abbandonate!

Allora vidi comparire una nobile Signora che, tutta risplendente in viso, con bella parola mi incoraggiava ad appagare il loro desiderio. E mentre pareva che scomparisse di mezzo a loro, mi diceva:

  • Abbine cura: sono mie figlie!».

Così si spiega il dialogo che la sera del 24 giugno 1866, suo giorno onomastico, tenne col suo primo biografo Don Lemoyne.

  • Dica, Don Bosco, non le sembra che manchi ancora qualche cosa per completare la sua Opera? Che vuoi dire con questo?

Don Lemoyne rimase un momento esitante, poi riprese:

  • E per le ragazze non farà niente? Non le sembra che se avessimo anche le Suore, questo sarebbe il coronamento dell’Opera? Esse potrebbero fare per le ragazze ciò che noi facciamo per i giovani. Don Lemoyne aveva esitato a manifestare il suo pensiero, perché temeva che Don Bosco fosse contrario. Invece, con sua meraviglia, il Santo rispose:
  • Sì, anche questo sarà fatto, ma non subito.

Don Francesco Cerruti, direttore del Collegio di Alassio, quando seppe che Don Bosco aveva deciso di fondare il ramo femminile della sua Opera, gli chiese:

  • Dunque ella vuoi fondare una congregazione di suore?
  • Vedi – gli rispose il Santo -, la rivoluzione si è servita delle donne per fare un gran male, e noi per mezzo loro faremo un gran bene.

E aggiungeva che avrebbero avuto il nome di «Figlie di Maria Ausiliatrice», perché voleva che il nuovo Istituto fosse un monumento vivente di perenne riconoscenza per i favori ottenuti da sì buona Madre.