«Venga con me»

Un giorno don Bosco stava lavorando in camera sua, quando un ragazzo entrò in fretta. (E lui stesso che lo racconta).

  • Presto, venga con me.
  • Dove vuoi condurmi?
  • Faccia presto, faccia presto.

Se si fosse trattato di un ragazzo qualsiasi, don Bosco l’avrebbe creduto uno scherzo. Ma quel quattordicenne era Domenico Savio. E don Bosco lasciò il suo lavoro e lo segui. Racconta:

«Esce di casa, passa per una via, poi un’altra, e un’altra ancora, ma non si arresta, né fa parola, prende in fine una1tra via, io lo accompagno di porta in porta finché si ferma. Sale una scala, monta al terzo piano e suona una forte scampanellata. – E qua che deve entrare – egli dice e tosto se ne parte».

La porta si apre. Una donna scarmigliata vede il prete e dice con sollievo:

  • Venga in fretta. Mio marito ha avuto la disgrazia di farsi protestante. Adesso sta morendo e chiede per pietà un prete che gli dia l’assoluzione.

Don Bosco si avvicina al letto del malato e gli ridà la pace di Dio. Appena in tempo, perché la morte e già lì, e se lo porta via rapidamente.

Don Bosco torna a casa pensieroso. Come ha saputo Domenico di quel povero malato? «Un giorno – scrive – ho voluto chiedergli come avesse potuto sapere…, ed gli mi guardò con aria di dolore e poi si mise a piangere». Don Bosco non gli fece più domande del genere. Aveva capito che quel ragazzo parlava con Dio.

Incontro con Minòt

Domenico Savio fu il primo ragazzo dell’Oratorio di Cui don Bosco senti il bisogno di scrivere la vita. Era venuto in contatto con lui in maniera quasi casuale. Don Giuseppe Cugliero, suo amico, era insegnante a Mondonio, e si era trovato in classe quella perla di ragazzo. Di salute fragile, di intelligenza buona, di bontà eccezionale. Incontrando don Bosco gliene parlò:

Si chiama Domenico, ma noi lo chiamiamo tutti Minòt. La famiglia e poverissima, il padre fa mille mestieri per tirare avanti. Ma Minòt è un vero san Luigi. Qui all’oratorio puoi avere ragazzi uguali, ma difficilmente ne hai qualcuno che lo possa superare.

Rimasero intesi che don Bosco avrebbe incontrato il padre e Minòt ai Becchi, quando sarebbe andato lasso per la festa della Madonna del Rosario. Il primo incontro, don Bosco lo descrive nella sua breve biografia.

«Era il primo lunedì d’ottobre (2 ottobre 1854) di buon mattino, allorché vedo un fanciullo accompagnato da suo padre che si avvicina. L’aria ridente ma rispettosa, trasse verso di lui i miei sguardi.

  • Chi sei – gli dissi -, donde vieni?
  • Io sono Savio Domenico, di Cui le ha parlato don Cugliero mio maestro, e veniamo da Mondonio.

Allora lo chiamai in disparte. Conobbi in quel giovane (12 anni) un animo tutto del Signore e rimasi non poco stupito. Prima che chiamassi il padre mi disse:

  • Mi condurrà a Torino per studiare?
  • Eh! mi pare che ci sia buona stoffa.
  • A che può servire questa stoffa?
  • A fare un bell’abito da regalare al Signore.
  • Dunque io sono la stoffa: lei ne sia il Sarto, dunque mi prenda con sé e farà un bell’abito pel Signore.
  • Io temo che la tua gracilità non regga allo studio. (Don Cugliero doveva aver detto che due fratellini di Domenico erano morti pochi giorni dopo la nascita, e che altri tre nati, Raimonda di 7 anni, Maria di 5 e Giovanni di 2, non erano fiori di salute).
  • Non tema questo. Il Signore mi aiuterà.
  • Ma quando tu abbia terminato lo studio del latino che cosa vorrai diventare?
  • Se il Signore mi concederà tanta grazia, desidero ardentemente abbracciare lo stato ecclesiastico (= diventare prete).
  • Bene, ora voglio provare se hai sufficiente capacità per lo studio, prendi questo libretto, oggi Studia questa pagina, domani tornerai per recitarmela.

Mi posi a parlare col padre. Passarono non pill di otto minuti, quando ridendo si avanza Domenico e mi dice:

«Se vuole, recito adesso la mia pagina». Non solo aveva letteralmente studiato la pagina, ma comprendeva benissimo il senso delle cose in essa contenute. Bravo – gli dissi – , tu hai anticipato lo studio della tua lezione ed io anticipo la risposta. Ti condurrò a Torino. Comincia fin dora a pregare Iddio, affinché aiuti me e te a fare la sua santa volontà».

Ciò che Domenico portò all’Oratorio

Domenico entrò nell’Oratorio il 29 ottobre 1854. I ragazzi interni erano più di un centinaio. Alla domenica (e anche nei pomeriggi dei giorni feriali) i prati dell’Oratorio erano invasi da centinaia di ragazzi di ogni genere: venivano a giocare, a imparare qualcosa, a stare con don Bosco, pronti magari a scappare quando era l’ora di andare in chiesa. Tra questi ragazzi, sovente sporchi e maleducati, Domenico fu più che un amico:

«Si prestava volentieri a fare il catechismo ai più piccoli nella chiesa dell’Oratorio», ricorda Bonetti sottolineando: «Fu mio condiscepolo». Ciò che Domenico portò all’Oratorio fu una dolce e soda devozione alla Madonna.

Gia nella prima Comunione aveva elencato tra i suoi propositi: «I miei amici saranno Gesù e Maria».
A Valdocco, nella prima festa dell’Immacolata che trascorse, ci fu entusiasmo grande. Pio IX, a Roma, dichiarava verità di fede l’Immacolata Concezione di Maria (cioè che essa era stata concepita senza peccato originale).

Domenico, nel pomeriggio di quel giorno, andò all’altare della Madonna, nella chiesa di San Francesco, e si consacro con queste semplici parole: «Maria, vi dono il mio cuore, fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei, ma per pietà fatemi morire piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere un solo peccato».

La Compagnia dell’Immacolata

Nel 1856 Domenico ebbe l’idea di fondare la Compagnia dell’Immacolata. I «soci» della Compagnia si sarebbero impegnati a diventare migliori con l’aiuto di Gesù e della Madonna, e si sarebbero sforzati di diventare dei piccoli apostoli tra i compagni, diffondendo gioia e allegria intorno a sé. La Compagnia dell’Immacolata, approvata da don Bosco, fu inaugurata l’8 giugno 1856.

Una delle attività principali della Compagnia fu quella di «curare i clienti». I ragazzi indisciplinati, dallo schiaffo e dall’insulto facile, venivano assegnati ai singoli soci perché funzionassero nei loro riguardi come «angeli custodi». In quei primi tempi caratterizzati dalla scarsità di assistenza, quei ragazzi fecero in silenzio del bene grande all’Oratorio: non permisero che il disordine e la prepotenza s’impossessassero della situazione.

L’acqua fresca dei muratori

Ma la salute di Domenico (come don Bosco aveva temuto fin dal primo momento) deteriorò rapidamente. Don Bosco lo rimando in famiglia una prima volta nel luglio del 1856, permettendogli di tornare in agosto per gli esami scolastici.

Domenico riprese l’anno scolastico regolare nell’ottobre 1856. Ma presto comparve una febbre ostinata, e uno sfinimento di forze che gli faceva passare frequenti giornate nel lettuccio dell’infermeria. Don Bosco andava sovente a trovarlo, e un giorno gli domando: «C’è qualcosa che ti farebbe piacere adesso?». Domenico guardava i muratori che lavoravano sul tetto di fronte e, tutto arso dalla febbre, rispose: «Mi piacerebbe bere l’acqua fresca nella mestola dei muratori». Don Bosco non si mise a ridere come davanti alla stranezza di un ragazzo. Scese, sali sul tetto a prendere il secchio dei muratori, tornò nell’infermeria e con la mestola sgocciolante diede da bere a Domenico.

Dieci volte sgorgò il sangue

Nel febbraio del 1857 la tosse cominciò a tormentare Domenico, e don Bosco decise di mandarlo nuovamente dai suoi: «A casa ti sederai vicino al focolare, accanto a tua mamma, e la tosse ti passerà. Anche questa brutta febbre se ne dovrà ben andare». Domenico lo fisso con quegli occhi grandi e scosse la testa: «Io me ne vado e non tornerò più. Don Bosco, é l’ultima volta che possiamo parlarci. Mi dica: cosa posso ancora fare per il Signore?». «Offrirgli le tue sofferenze». «E cos’altro ancora?». «Offrigli anche la tua vita». II tono di don Bosco si era fatto grave: sapeva che quell’offerta sarebbe stata accettata.

A Mondonio, dove mamma e papà lo avvolsero nel loro affetto, il medico diagnosticò «infiammazione polmonare» (= polmonite). Ricorse al rimedio allora universale: cavar sangue dalle vene. Per dieci volte, da quel fragile corpo, la lancetta del chirurgo fece sgorgare sangue. Fu letteralmente dissanguato.

Si spense quasi all’improvviso il 9 marzo 1857, mentre parlava col papà e tentava invano di ricordare ciò che il parroco gli aveva detto poche ore prima. Don Bosco ristampò tante volte la vita di Domenico, e ogni volta che correggeva le bozze non riusciva a frenare le lacrime.

Papa Pio XII lo dichiarò santo il 12 giugno 1954. Il primo santo di 15 anni.

(tratto da “Festeggiamo Don Bosco”, Teresio Bosco, 1987)