Michele Magone

Michele Magone

Una medaglia nella mano di un monello

La nebbia fitta intristiva ogni cosa, in quella fredda sera d’autunno. La gente, sotto la tettoia di Carmagnola, aspettava il treno.

Cera anche don Bosco, sotto quella tettoia. Non pensava al treno che tardava, ma seguiva tra la nebbia le voci ora vicine ora lontane di una frotta di monelli.

«Tra quelle grida – scrisse poi don Bosco nella lingua fiorita dell’800 – rendevasi notabile una voce che distinta alzavasi a dominare tutte le altre, era come la voce di un capitano, che era da tutti seguita quale rigoroso comando. Nacque in me vivo desiderio di conoscere colui che sapeva regolare cosi svariato schiamazzo».

Don Bosco si avvicina. Appena la sua veste nera sbuca nella nebbia, i monelli se la danno a gambe. «Uno solo si arresta, si fa avanti, e appoggiando le mani sui fianchi, con aria imperiosa comincia a parlarmi così: Chi siete? Che cosa volete da noi?».

Don Bosco fissa quel ragazzo dai capelli scompigliati, e in fondo agli occhi colmi di fierezza vede una vita prorompente, che purtroppo sta andando alla deriva. Con un dialogo di pochi minuti vince la diffidenza, e sa da lui il nome, «Michele Magone», la situazione: «Tredici anni, Senza padre», le prospettive per il futuro: «Ho imparato il mestiere del fannullone».

Il treno fischia, c’è pericolo di perderlo. Ma perdere questo ragazzo sarebbe una disgrazia molto più grave. Gli mette tra le mani una medaglia di Maria Ausiliatrice, e gli dice svelto:

Vai da don Ariccio, tuo viceparroco. Digli che il prete che ti ha dato questa medaglia desidera informazioni su di te.

Approdo a Valdocco

Pochi giorni dopo, don Bosco ricevette una lettera dal viceparroco di Carmagnola. Diceva: «Il giovane Michele Magone é un povero ragazzo orfano di padre. La madre, dovendo pensare a dar pane alla famiglia, non può assisterlo. La sua volubilità e sbadataggine l’hanno fatto licenziare più volte dalla scuola. Frequenta compagni cattivi, più grandi di lui, due dei quali sono già finiti in prigione. Tuttavia, tra alti e bassi, ha fatto abbastanza bene la terza elementare.

In quanto a moralità, io lo Credo buono di cuore, ma difficile a domarsi.

Nelle classi di scuola e di catechismo e il disturbatore universale: quando non interviene, tutto é pace, e quando se ne parte, fa un favore a tutti. L’età, la povertà, l’ingegno, lo rendono degno di essere aiutato in qualche modo. Egli e nato il 19 settembre l845».

Don Bosco rispose che, se il ragazzo e sua madre accettavano, era disposto a Ospitarlo nel suo Oratorio.

Don Ariccio chiamò Michele, gli parlò di quel prete che a Torino aveva una casa grande con centinaia di ragazzi che correvano, si divertivano, e studiavano o imparavano un mestiere. E concluse: «E disposto ad accettare anche te nella sua casa. Ci vuoi andare?». Si senti rispondere: «Miseria che ci vado!».

La mamma lo accompagnò al treno, con un fagottino di biancheria, e il cuore stretto di commozione. A salutarlo c’erano anche i compagni di giochi. E Michele Magone approdò a Valdocco. Don Bosco ricordava il primo dialogo come se l’avesse registrato:

  • Eccomi – disse correndomi incontro – eccomi, io sono quel Magone Michele che avete incontrato alla stazione della ferrovia a Carmagnola.
  • So tutto, mio caro, sei venuto di buona volontà?
  • Si, la buona volontà non mi manca.
  • Allora ti raccomando di non mettermi sottosopra tutta la casa.
  • Oh, state tranquillo, che non vi darò dispiacere. Per il passato mi sono regolato male, per l’avvenire non voglio che sia cosi. Due miei compagni sono già in prigione, e io…
  • Sta di buon animo. Dimmi soltanto se preferisci studiare o imparare un mestiere.
  • Se mi lasciate la scelta, preferisco studiare.
  • Va bene. ti metterò allo studio.

Una campana antipatica

Da quel momento cantare, gridare, schiamazzare, correre, saltare, divenne la sua vita. Non era però diventato un santino tutto d’un colpo, tutt’altro!

La «Compagnia dell’Immacolata» (il gruppo dei migliori), d’accordo con don Bosco, gli mise al fianco un giovanottino che lo aiutasse e lo correggesse con bontà. Ne ebbe del lavoro. Parole sboccate, discorsi volgari, mezze bestemmie… Ma ogni volta che il compagno lo correggeva, Michele, pur vivacissimo, ringraziava e si riprendeva.

Cera una cosa cordialmente antipatica a Michele: la campana che segnava seccamente il termine della ricreazione per chiamare allo studio e alla scuola. Con i libri sotto il braccio, sembrava un piccolo condannato ai lavori forzati.

Molto più simpatico gli era il segnale che indicava il termine della scuola. Scrive don Bosco: «Sembrava che uscisse dalla bocca di un cannone: volava in tutti gli angoli, metteva tutto in movimento». Nel gioco era capitano di una squadra, che, dal suo arrivo, era quasi imbattibile. Passò così qualche mese.

I giorni della tristezza

Un giorno cominciò a intristire. Da un angolo solitario guardava i compagni giocare, sfuggiva la compagnia degli amici chiassosi, e a volte, non visto, piangeva. Sembrava che un velo di malinconia fosse calato sulla sua faccia. Cedo la parola a don Bosco.

«Io tenevo dietro a quanto accadeva in lui, perciò un giorno lo mandai a chiamare e gli parlai cosi:

  • Caro Michele, io avrei bisogno che mi facessi un piacere, ma non vorrei un rifiuto.
  • Dite pure – rispose arditamente -, sono disposto a fare qualunque cosa mi comandiate.»
  • Avrei bisogno che mi dicessi perché da alcuni giorni sei cosi malinconico.
  • Si, è vero… Ma io sono disperato, e non so come fare.

E scoppia a piangere. Lo lasciai sfogare, quindi, a modo di scherzo, gli dissi:

  • E tu saresti quel generale Magone Michele capo di tutta la banda di Carmagnola? Che capo banda sei? Non sei capace di dire ciò che ti rende triste?
  • Vorrei farlo, ma non so esprimermi.
  • Dimmi una sola parola.
  • Ho la coscienza imbrogliata.
  • Questo mi basta. Tu puoi mettere le cose a posto con la massima facilità. Vai da un confessore e digli soltanto che hai qualcosa da rivedere nella tua vita passata. Lui ti farà qualche domanda, e tu non avrai che da rispondere qualche “si” e qualche “no”. Il Signore ti perdonerà tutto».

Cerano alcuni sacerdoti all’oratorio che confessavano, ma quasi tutti andavano a confessarsi da don Bosco. Quella sera stessa, Michele andò a bussare al suo ufficio:

  • Don Bosco, forse disturbo… Ma il Signore mi ha aspettato tanto, e non voglio farle aspettare ancora fine a domani.

Coll’aiuto di don Bosco, Michele depose ai piedi di Gesù Crocifisso tutte le sue piccole miserie, e gli domande perdono. Don Bosco, testimone di quella giovane risurrezione, annotò; «Michele aveva perso l’allegria quando aveva cominciato a capire che la vera contentezza non nasce dal far salti, ma dall’amicizia del Signore e dalla pace della coscienza. Vedeva i suoi compagni accostarsi alla Comunione e diventare sempre pill buoni, e lui, che non si sentiva di comunicarsi, era preso da grande inquietudine. .. Alla fine della confessione disse commosso: Come sono felice!». ,

Il giorno dopo, nel cortile dell’oratorio, Michele torno alla testa della sua squadra, e la guidò a una memorabile Vittoria.

Il volto Sereno

Il 18 gennaio Michele accuse dolori allo stomaco, era un male che gli veniva ogni tanto. Si recò in infermeria, e la cosa non sembrò per nulla preoccupante. Don Bosco, avendolo visto dalla finestra, gli domandò cosa avesse.

Si senti rispondere: «Niente. E il solito male che mi veniva anche a casa…».

Ma la sera del 19 gennaio il male si aggravò all’improvviso. Fu chiamata d’urgenza la mamma. Il medico, subito venuto, udendo il respiro pesante, faticoso, allargò le braccia desolato. La medicina in quegli anni non esisteva quasi, la chirurgia doveva ancora essere inventata.

Il 21 Michele era in fin di vita. Gli amici, costernati, pregavano per lui.

Don Bosco gli portò la Comunione come Viatico.

Si avvicinava la mezzanotte. La mamma aveva dovuto tornare al paese per badare ai figli più piccoli, ma don Bosco era li, accanto al suo Michele.

All’improvviso Michele sembrò ridestarsi:

  • Ci siamo – mormorò -. Don Bosco, dica a mia madre che mi perdoni i dispiaceri che le ho dati… Le dica che le voglio bene, che si faccia coraggio… Io l’aspetto in Paradiso…

Il suo volto rimase immobile, sereno. Non aveva ancora 14 anni.

(tratto da “Festeggiamo Don Bosco”, Teresio Bosco, 1987)

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