I miracoli si pagano
Sulle colline a sud di Alessandria, nella rovente estate del 1860, scoppia il tifo. Un manuale di medicina del tempo definisce questa malattia: «complicatissima e praticamente impossibile da curare». Un almanacco che si vende sulle bancarelle delle fiere (e che la gente consulta con molta fede) prescrive come rimedio di bruciare lentamente un ragno insieme alla sua tela, poi far bere al malato la cenere ricavata in un bicchiere di acqua di fonte. Si capisce che, con questi rimedi, il tifo fa strage dovunque arrivi.
Anche sulle colline di Mornese i morti, in quel 1860, sono tanti. In una famiglia (cognome Mazzarello) sono colpiti tutti: padre, madre, quattro figli. Due sono già in fin di vita.
Don Pestarino, un giovane prete che aiuta il parroco di Mornese, va a trovarli, e vede che in quella casa hanno bisogno di una donna che faccia pulizia e faccia cucina. Va a una casa di parenti (Mazzarello pure loro), chiama Maria, 23 anni, e le dice:
- C’è da fare una grande opera di carità. In casa di tuo Zio sono tutti ammalati di tifo. Hanno bisogno di una come te per non morire. Te la senti?
Maria ha paura. Ma è una cristiana sul serio.
- Vado ad avvisare mio padre.
Il padre non è: d’accordo. Ma dice a don Pestarino:
- Se essa vuol andare, non mi oppongo.
Maria é una ragazza forte, robusta. Non ha mai contato le ore di lavoro e di fatica. L’ordine e la pulizia tornano rapidamente in quella casa di malati, insieme al cibo caldo. La salute che torna per tutti, anche per i moribondi, sembra un miracolo. Ma i miracoli spesso si pagano, e Maria (sfinita dal gran lavoro) é colpita anche lei dalla malattia in maniera violentissima.
Non ha nemmeno il tempo di tornare a casa. Mentre la febbre la scuote di brividi, dal suo lettuccio mormora: «Non ho più bisogno di niente. Solo che Dio venga a prendermi».
Le prime due orfane
Invece, senza ceneri di ragno, il miracolo avviene anche per lei. Ma il suo fisico esce da quella malattia prostrato. Non riesce più a maneggiare con forza la Zappa per lavorare nei campi.
Mortificata, si confida con la cugina Petronilla: «Vado a imparare a fare la sarta. Poi aprirò un piccolo laboratorio e insegnerà a cucire alle ragazze povere. Perché non vieni anche tu? Insieme vivremo come in famiglia».
Petronilla ci sta. Dopo un anno il piccolo laboratorio é aperto. Una decina di ragazzine (che non vanno a scuola, perché in quel tempo la scuola è giudicata «non conveniente» per le ragazze) vengono ogni giorno a imparare a cucire. Prima di cominciare, dicono insieme un’Ave Maria. E Maria Mazzarello, quando il Campanile batte le ore, commenta: «Un’ora di meno su questa terra, un’ora più vicino al Paradiso». Vedendo le ragazzine impegnate con ago e stoffa mormora: «Ogni punto d’ago, un atto di amor di Dio. Lui si che pagherà bene, altro che i nostri clienti».
Alla domenica non si lavora, ma le ragazzine tornano volentieri con Maria e Petronilla, e giocano, cantano, saltano con loro. Vanno alla Messa e pregano, poi fanno belle passeggiate fino al torrente Roverno, tra fiori e spruzzi.
Ma nell’inverno 1863 capita qualcosa che modifica tutto. Un venditore ambulante perde la moglie, e rimane solo con due bimbe di 8 e 6 anni. Non sapendo che fare, va a bussare alla porta di Maria e di Petronilla. Parlando, il poveruomo si rigira in mano impacciato il cappello:
- Io vado in giro per i mercati e le fiere. Se mi porto dietro queste due creature, mi muoiono di polmonite con la neve che ce. Non potreste tenerle con voi di giorno e di notte?
Come si fa a dire di no davanti a quei quattro occhi sgranati e spauriti? Maria va a chiedere in prestito due lettini, e un angolo del laboratorio, ogni sera, si trasforma in cameretta.
La notizia si diffonde: molti portano pane e polenta a Maria e Petronilla. Qualcuno, però, porta altre bambine abbandonate. Finché ce ne stanno: sette. Poi, sconsolate, Maria e Petronilla devono dire: «Ci dispiace. Ma finché non avremo un posto più grande…»
Arriva don Bosco
Don Pestarino, che segue da vicino e incoraggia Maria e Petronilla, é amico di don Bosco. L’ha incontrato in treno, é andato a trovarlo a Valdocco, ha domandato di diventare salesiano. Don Bosco l’ha accettato, ma gli ha detto:
- «Rimani a Mornese. Chissà che di quel gruppetto di ragazze Dio non voglia fare cose grandi».
Don Bosco arriva a Mornese nel 1864, con la turba dei suoi ragazzi in passeggiata: banda in testa, tamburo battente, un asino che porta gli scenari per il teatrino che i ragazzi allestiscono sulle piazze dei paesi.
È per tutti una festa grande. Ma per don Bosco è qualcosa di più. Viene a vedere il «gruppetto di Maria Mazzarello». Da tempo sta pensando di fondare una Congregazione di suore che faccia del bene alle ragazze povere con lo stesso spirito dei Salesiani. Entra nel laboratorietto, parla con don Pestarino. È impressionato. «Qui sta già di casa la Madonna», pensa. Il gruppetto, infatti, a cui si sono unite altre brave ragazze del paese, si chiama Figlie dell’Immacolata.
Cinque anni dopo (Don Bosco crede nei tempi lunghi, non negli entusiasmi improvvisi) invia alle Figlie un quadernetto scritto di sua mano. Dà direttive semplicissime:
- «Procurate di vivere abitualmente alla presenza di Dio. Siate dolci, pazienti, amabili. Vegliate sulle ragazze, tenetele occupate, crescetele a una vita semplice di amicizia del Signore, schietta e spontanea».
Nascono le «Figlie di Maria Ausiliatrice»
Maggio 1871. Don Bosco raduna il «consiglio» della Congregazione Salesiana: sono i ragazzini cresciuti accanto a lui, divenuti sacerdoti, direttori delle nuove opere salesiane che si stanno diffondendo in tutta l’Italia. Si chiamano Michele Rua, Giovanni Cagliero, Paolino Albera… Dice:
- «Molte persone mi hanno ripetutamente esortato a fare anche per le giovanette quel po’ di bene che stiamo facendo per grazia di Dio ai giovani. Se voi approvate la mia iniziativa, fonderemo le Figlie di Maria Ausiliatrice. Il centro sarà Mornese, dove da nove anni vive nel silenzio, nel lavoro e nella preghiera, un gruppo di ragazze che dà piena garanzia».
Don Bosco domanda l’approvazione a quei «ragazzi» a cui ha insegnato a soffiarsi il naso e usare la forchetta. E’ il gesto di un santo e di un grande educatore. Solo quando ottiene l’approvazione, considera iniziata la Congregazione delle FMA.
A Mornese, il gruppo di Maria Mazzarello si trasporta nel «collegio di Borgo Alto»: hanno più spazio per le ragazze, e anche tanta povertà in più.
Perché i Mornesini, che volevano il collegio per i loro ragazzi, considerano quel cambiamento un imbroglio, un tradimento, e all’inizio non danno nessun aiuto.
5 agosto 1872. Le prime quindici FMA ricevono l’abito religioso. Don Bosco dice:
- «Voi siete in pena perché i vostri parenti stessi vi voltano le spalle. Non vi rincresca di essere cosi maltrattate nel mondo. Solo in questa maniera potrete fare un gran bene. Comportatevi da consacrate a Dio: gli occhi bassi, ma la testa no».
Il messaggio di don Bosco è chiarissimo: gli occhi si abbassano davanti alla maestà di Dio, ma la testa si porta davanti alla gente, e non deve essere curva come quella delle serve, ma lieta e fiera come quella delle figlie di Dio. Tra quella povertà e quei disagi cresce robusta la famiglia delle FMA.
Due mesi per vivere e per morire
Gennaio 1881. Le suore cominciano a notare che la salute di madre Mazzarello sta declinando. Qualcuno le sussurra che deve badare di più alla salute, ma lei ridendo risponde:
- È meglio per tutte che me ne vada. Cosi faranno Superiora una più abile di me.
Il crollo avviene mentre sta accompagnando un gruppo di missionarie in partenza per l’America. Per un contrattempo deve passare una notte seduta in un angolo, tremante di febbre. Al mattino non riesce ad alzarsi. Solo sul tardi si fa violenza e accompagna al porto le sue figlie. Ma dopo un paio d’ore non ce la fa più.
«Pleurite di forma grave» sentenzia il medico. Quaranta giorni di febbre, lontana dalla sua casa, martoriata dai vescicanti che sono tunica cura conosciuta in quei tempi, e che le scorticano tutta la schiena. Poi la febbre scompare, ma il medico é chiaro fino alla brutalità: ancora due mesi di vita.
Madre Mazzarello, pallida e sfinita, torna a Nizza. L’accoglie una gran festa, che la commuove. Ringrazia con poche parole:
- In questo mondo, qualunque cosa avvenga, non dobbiamo né rallegrarci né rattristarci troppo. Siamo nelle mani di Dio, che è nostro padre, e dobbiamo sempre essere pronte a fare la sua santa volontà.
I fiori dietro la finestra
Per molti giorni riuscì a fare la vita di tutte. Lavorava, scendeva in cappella, seguiva l’orario. Solo, ogni sera, passava dalla Cucina a prendere un mattone caldo da mettersi sul fianco che le faceva male.
All’improvviso, un nuovo crollo. La pleurite era ricomparsa, con molta virulenza. La fine.
Dai vetri della finestra si vedeva il verde e i fiori della primavera. Le piaceva ascoltare il chiasso delle bambine che correvano e giocavano spensierate. Volle ancora parlare con le sue suore. Disse:
- Vogliatevi bene. Tenetevi sempre unite. Avete abbandonato il mondo venendo qui. Non fabbricatevene un altro qui dentro. Pensate al perché siete entrate nella Congregazione.
Stava male, ma non volle rattristare nessuno fino alla fine. Sorrise a tutti. Si sforzò addirittura di cantare. Dio le venne incontro all’alba del 14 maggio. Riuscì a mormorare:
- Arrivederci in cielo.
Aveva quarantaquattro anni.
(disegno a cura dell’artista Stefano Pachì)
(tratto da “Festeggiamo Don Bosco”, Teresio Bosco, 1987)
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