Si era nell’ottobre del 1885. Nell’infermeria giaceva il chierico irlandese O’ Dònnellan. La sera del 19 Don Bosco andò a visitarlo e lo trovò agli estremi, ma tranquillissimo.
Ebbene – gli chiese -, non hai nessuna commissione da lasciarmi per questa terra? Ne vorresti ricevere qualcuna per il paradiso? Sono tranquillo – rispose -. Per questo mondo non ho commissioni; in quanto all’altro, mi dica lei.
- Noi pregheremo per te affinché tu possa essere presto in paradiso; e lassù dirai alla Madonna che noi l’amiamo tanto, tanto.
Il chierico morì la sera del giorno dopo. La notte seguente Don Bosco ebbe un sogno. Ecco, alquanto ridotto, il suo racconto.
«Andai a riposo con la mente piena del pensiero di O’ Dònnellan, della sua tranquillità, della speranza che fosse in paradiso. Essendomi pienamente addormentato, sognai. Mi pareva di camminare e al mio fianco stava O’ Dònnellan, così bello che sembrava un angelo. Io non potevo saziarmi di guardarlo. Alla mia sinistra invece camminava un giovane a testa bassa, sicché non potevo distinguerne la fisionomia: pareva stravolto. Gli rivolsi la parola:
- Tu chi sei?
Non rispose. Insistetti, ma si era ostinato a tacere.
Dopo un lungo viaggio, arrivai dinanzi a uno stupendo palazzo. Al di là delle porte spalancate, si scorgeva un immenso portico, sormontato da un’eccelsa cupola, dalla quale scendevano torrenti di luce ditale vivezza da non potersi paragonare né alla luce del sole né ad altra qualsiasi luce umana. Una grande moltitudine di persone tutte splendenti stava radunata là dentro; in mezzo ad esse c’era una Signora vestita con molta semplicità, ma ogni punto del suo vestito risplendeva per tanti raggi che spiccavano vivissimi in mezzo a tutti gli altri splendori. Tutta quella assemblea pareva fosse in attesa di qualcuno. Intanto notai che quel giovane tentava sempre di nascondersi dietro di me. Io allora lo interrogai di nuovo:
- Ma dimmi: chi sei? Qua! è il tuo nome?
- Fra poco lo saprà.
- Ma dimmi: che cos’hai che sei così malinconico?
- Fra poco lo saprà – ripeté con voce rabbiosa.
In quel mentre O’ Dònnellan si avvicinò alla porta di quel palazzo e quella bella Signora gli mosse incontro esclamando:
- Questo è un figlio eletto, che splenderà come sole per tutta l’eternità.
Allora si elevò un canto che ripeteva queste stesse parole: non era voce umana, ma un’armonia così soave che non solo l’orecchio, ma tutta la persona ne era compresa.
O’ Dònnellan entrò.
Allora da un fosso di quella pianura uscirono due mostri spaventosi e si avviarono verso quel giovane che stava dietro di me. Tutta la luce era scomparsa, solo si vedevano ancora splendere intorno a me i raggi della Signora.
- Che cos’è questo? – dissi io -. Chi sono questi mostri?
E dietro a me quella voce cupa e rabbiosa:
- Fra poco lo saprà, fra poco lo saprà.
Quella Signora esclamò:
- Filium enutrivi et educavi; ipse autem factus est tanquam iumentum insipiens (Ho nutrito ed educato un figlio; ma lui è diventato come un giumento insipiente).
Tosto quei due mostri si slanciarono su quel giovane: uno lo addentò sopra una spalla, l’altro tra la nuca e il collo. Le ossa scricchiolarono come se fossero pestate in un mortaio. Io mi slanciai contro quei mostri, ma essi si rivolsero verso di me e spalancarono le loro fauci. Vedo ancora il biancheggiare dei loro denti e il rosso fuoco delle loro gengive. Il mio spavento fu tale che mi svegliai». Il segretario che dormiva nella camera attigua, svegliato dalle grida di aiuto, era accorso e aveva trovato Don Bosco come chi, in preda a spavento, si voglia scuotere dal sonno per liberarsi da un incubo. Dimenava le braccia, si alzava a sedere, tastava il letto e brancicava le coperte, come per rendersi conto se fosse desto o addormentato.
Il giorno 25 Don Bosco raccontò il sogno ai Salesiani, ma non manifestò il nome del giovane innominato. I superiori però cominciarono a sospettare su di uno che non aveva mai voluto sapere di sacramenti. Don Stefano Trione, che aveva la cura spirituale degli studenti, accompagnando Don Bosco nella sua cameretta, era riuscito a strappargli il segreto. Si chiamava Archimede Accornero. Già l’anno prima, per la sua cattiva condotta, i superiori avevano quasi deciso di lasciarlo a casa sua dopo le vacanze. Don Trione, zelantissimo prete, non si diede pace finché, con le sue dolci e insinuanti maniere, non riuscì a farlo confessare.
Fu provvidenziale. Nel pomeriggio di quello stesso giorno il povero giovane faceva i suoi giochi, appoggiandosi a lettiere di ferro che stavano accatastate sotto i portici, quando improvvisamente il mucchio si rovesciò e lo prese sotto. Liberato e portato in infermeria, rimase in sé dall’una e mezzo fino alle tre, lagnandosi però di sempre nuovi dolori. Alle quattro non capiva più nulla e verso la mezzanotte spirò. Sua madre, chiamata d’urgenza, appena pose piede nell’Oratorio, domandò se il figlio si fosse suicidato! Tanto era anch’essa convinta che il figlio batteva la via del male.
La sua tragica fine segnò il completo avveramento di una predizione di Don Bosco, che nel dare la strenna per 111885, aveva annunziato per quell’anno la morte di sei là presenti. In quel mese di ottobre tra i ragazzi si andava dicendo: «Cinque sono già morti; chi sarà il sesto?». Il sesto fu Accornero.
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