Una notte, verso la fine del novembre 1854, Don Bosco sognò di trovarsi nel cortile circondato da preti e da chierici, quando comparve un valletto di corte con la sua rossa uniforme che, giunto alla sua presenza, gridò:

  • Grande notizia!
  • Quale? – chiese Don Bosco.
  • Annunzia: gran funerale a Corte!

Don Bosco, dolorosamente sorpreso, voleva chiedergli spiegazioni, ma il valletto ripetendo:

  • Gran funerale a Corte! – scomparve.

Appena destatosi, preparò subito una lettera per il Re Vittorio Emanuele II, nella quale gli esponeva il sogno fatto. A pranzo comparve tra i giovani con un fascio di lettere.

  • Stamane – disse – ho scritto tre lettere a grandi personaggi: al Papa, al Re, al boia.

Al sentire accoppiati questi tre nomi, i giovani scoppiarono in una risata. Il nome del boia non fece loro meraviglia perché conoscevano le relazioni di Don Bosco con le autorità carcerarie. In quanto al Papa, sapevano che era con lui in relazione epistolare. Ciò che aguzzava la loro curiosità era il sapere che cosa avesse scritto al Re. Don Bosco raccontò loro il sogno e concluse:

  • Questo sogno mi ha fatto star male tutta la notte.

Cinque giorni dopo, il sogno si rinnovò. Don Bosco è seduto a tavolino quando entra con impeto il valletto in rossa livrea e grida:

  • Non gran funerale a Corte, ma grandi funerali a Corte!

Don Bosco scrisse al Re una seconda lettera, nella quale gli raccontava il secondo sogno e lo invitava a impedire che fosse approvato un progetto legge che proponeva lo scioglimento degli Ordini religiosi che non si dedicavano all’istruzione, alla predicazione o all’assistenza degli orfani, e l’incameramento di tutti i beni da parte dello Stato, con il pretesto che «con quei beni lo Stato avrebbe potuto provvedere alle parrocchie più povere». Proponente del progetto era Urbano Rattazzi. Mentre si discuteva questo progetto legge alle Camere, Don Bosco ripeteva ai suoi intimi:

  • Questa legge attirerà su Casa Reale gravi disgrazie.

Il Re aveva fatto leggere quelle lettere al Marchese Fassati, che si recò da Don Bosco e gli disse:

  • Ma le pare questa la maniera di mettere sossopra tutta la Corte? Il Re ne è rimasto più che impressionato e turbato. Anzi è montato sulle furie.
  • Ciò che ho scritto è verità – rispose Don Bosco -. Mi rincresce di aver disgustato il Sovrano, ma si tratta del suo bene e di quello della Chiesa.

In quei giorni Vittorio Emanuele II scriveva al generale Alfonso Lamarmora: «Mia madre e mia moglie non fanno che ripeter mi che esse muoiono di dispiacere per causa mia». Esse infatti erano contrarie a quella legge settaria e ingiusta.

Il 5 gennaio 1855 si ammalava gravemente la Regina Madre Maria Teresa, e il 12 seguente si spegneva con una morte santa. Aveva 54 anni. Il lutto fu universale perché era molto amata per la sua carità verso tutti i bisognosi.

Il giorno 16 la Corte reale non era ancor tornata dai funerali della Regina Madre, quando ricevette l’urgente invito a partecipare al viatico della Regina Maria Adelaide. Essa aveva dato alla luce un bambino otto giorni prima e non si era più ripresa. Quattro giorni dopo, la sera del 20, l’augusta inferma spirava a soli 33 anni di età.

  • I suoi sogni si sono avverati – dissero a Don Bosco i giovani al ritorno dal secondo funerale.
  • E vero – rispose Don Bosco – e non sappiamo se con questo secondo funerale sia chiusa la serie dei lutti a Corte.

E realmente nella notte dal 10 all’11 febbraio, dopo venti giorni di grave malattia, moriva il principe Ferdinando di Savoia, Duca di Genova, fratello del re, anch’egli a soli 33 anni.

Il Sovrano fu talmente turbato da quelle profezie dolorosamente avveratesi, che un giorno esclamò: «Io non ho più un istante di pace! Don Bosco non mi lascia vivere!» E incaricò una personalità di Corte di riferire a Don Bosco queste sue parole.

(immagine di lacivettaditorino.it)