Finchè non fu sacerdote, ogni giorno il chierico Giovanni Bosco soleva ascendere la cima della vigna proprietà Turco, nella regione detta Renenta, e passarvi molte ore della giornata all’ombra degli alberi che la incoronavano. Quivi si dedicava a quegli studi, cui non avea potuto attendere nel corso dell’anno scolastico: specialmente allo studio del Calmet, storia del Vecchio e del Nuovo Testamento, della geografia dei Luoghi Santi e de’ principii della lingua ebraica, acquistandone sufficienti cognizioni.

Ancora nel 1884, ricordavasi dello studio fatto su questa lingua, e noi lo abbiamo udito in Roma, con nostro estremo stupore, entrar in questione, con un sacerdote professore di lingua ebraica, sul valore grammaticale e sulla spiegazione di certe frasi originali dei profeti, facendo confronti coi testi paralleli di varii libri della Bibbia. Si occupava eziandio della traduzione dei Nuovo Testamento dal greco ed incominciava a prepararsi alcune prediche. Prevedendo il bisogno di conoscere eziandio le lingue moderne, si die’ in questo tempo ad imparare la lingua francese.

Dopo il latino e l’italiano, egli ebbe sempre una predilezione speciale per le tre lingue ebraica, greca, francese. Più volte abbiam sentito D. Bosco dire:

– I miei studi li ho fatti nella Vigna di Giuseppe Turco alla Renenta. E il fine de’ suoi studi era di rendersi degno della sua vocazione ed abilitarsi alla istruzione ed educazione della gioventù.

Difatti un giorno avvicinatosi a Giuseppe Turco, col quale era stretto da grande amicizia, mentre lavorava intorno alle viti, questi prese a dirgli:

  • Ora sei chierico, ben presto sarai prete: e poi che cosa farai?
  • Giovanni rispose: – Non ho inclinazione a fare il parroco e neppure il vicecurato; ma mi piacerebbe raccogliere intorno a me giovani poveri ed abbandonati per educarli cristianamente ed istruirli.

Incontratolo un altro giorno, gli confidò come egli avesse fatto un sogno, dal quale aveva inteso come col volgere degli anni egli si sarebbe stabilito in un certo luogo, dove avrebbe raccolto un gran numero di giovanetti per istruirli nella via della salute. Non spiegò il luogo, ma sembra che alludesse a quanto raccontò per la prima volta nel 1858 a’ suoi figliuoli dell’Oratorio, fra i quali eravi Cagliero, Rua, Francesia ed altri.

Aveva visto la valle sottostante alla cascina del Susambrino convertirsi in una grande città, nelle cui strade e piazze scorrevano turbe di fanciulli schiamazzando, giuocando e bestemmiando. Siccome egli aveva in grande orrore la bestemmia ed era di un carattere pronto e vivace, si avvicinò a questi ragazzi, sgridandoli perché bestemmiavano e minacciandoli se non avessero cessato; ma non desistendo essi dal vociare orribili insulti contro Dio e la Madonna Santissima, Giovanni prese a percuoterli.

Sennonché gli altri reagirono e, correndogli sopra, lo tempestarono di pugni. Egli si diede alla fuga; ma in quella ecco venirgli incontro un Personaggio, che gli intimò di fermarsi e di ritornare a quei monelli e persuaderli a state buoni e a, non fare il male. Giovanni obbiettò le percosse avute e il peggio che gli sarebbe toccato, se fosse ritornato sopra i suoi passi. Allora quel Personaggio lo presentò ad una nobilissima Signora, che si faceva innanzi, e gli disse: Questa è mia Madre; consigliati con lei.

La Signora, fissandolo con uno sguardo pieno di bontà così parlò: Se vuoi guadagnarti questi monelli, non devi affrontarli colle percosse, ma prenderli colla dolcezza e colla persuasione. E allora, come nel primo sogno, vide i giovani trasformati in belve e poi in pecorelle e in agnelli, ai quali egli prese a far da pastore per ordine di quella Signora.

Era il pensiero del Profeta Isaia tradotto in visione: “Daranno gloria a me le bestie selvatiche, i dragoni, gli struzzoli (mutati in figliuoli di Abramo). Questo popolo l’ho formato per me; egli annunzierà le mie laudi (la mia possanza, la mia misericordia)”.

(MB I, 423-425)