Chi stava vicino a don Bosco, e lo conosceva, sapeva che non si perdeva in chiacchiere o che lasciava passare il tempo senza impegnarlo in qualcosa di produttivo. Era un uomo che agiva, sempre, anche quando le circostanze gli erano avverse. Metteva la stessa energia in ogni campo, ovviamente anche nell’educazione dei suoi ragazzi, ma le sue idee pedagogiche, che tutti riconoscevano valide ed efficaci, non erano mai state organizzate e ordinate per iscritto fino al 1877, quando si decise, su insistenza dei suoi collaboratori, a comporre sette pagine sul suo metodo educativo per la gioventù. In quel tempo, il cosiddetto “secolo pedagogico”, era molto vivo il dibattito sui metodi educativi e grandi esponenti del pensiero lavoravano in quel settore, Froebel, Rousseau, Montessori e altri.

Ma nonostante don Bosco fosse un innovatore e un autodidatta, le sue idee, erano apprezzate ovunque, anche all’estero e nell’area laica. Egli scriveva:

“Lo scopo cui miriamo è la civile istruzione, la morale educazione della gioventù per sottrarla all’ozio, al mal fare, al disonore e forse anche alla prigione, ecco a che mira la nostra opera”.

Il suo metodo educativo, quindi, non è solo frutto della sua eccezionale personalità, ma anche della sua generosità e della sua ricca esperienza di vita. E infatti, il suo “sistema preventivo”, che si contrappone a quello “repressivo” allora largamente usato, è un vero programma di vita che esclude le punizioni violente e si basa sulla ragione, la religione e l’amorevolezza.

Questi sono elementi che si esprimono nello spirito e nello stile della “famiglia”, in un clima serio, impegnato e spontaneo. Immerso nella gioia e corroborato dall’attività individuale e di gruppo, promossa dalla presenza continua degli educatori. La pratica di questo sistema trova una perfetta conferma nelle parole di san Paolo che dice: “La carità è benigna e paziente; soffre tutto, spera tutto e tutto sostiene”.

(tratto da il Bollettino Salesiano, Maggio 2019)