Teresa Calligari di Castel S. Giovanni aveva 23 anni quando nel novembre 1918 fu colta da febbre, dolori al petto e alla schiena, e da tosse continua: con questi sintomi di polmonite influenzale il Dott. Minoia, vedendo peggiorare l’ammalata, la fece ricoverare nell’Ospedale di Castel S. Giovanni, il 17 dicembre.

Dopo una quindicina di giorni, durante la convalescenza della polmonite, cominciarono in Teresa i sintomi della poli-artrite infettiva: dapprima una forte dolorabilità al ginocchio sinistro con tumefazione, dolore spontaneo e nei movimenti, versamento di liquido articolare ed anchilosamento del ginocchio in posizione di leggera flessione, accompagnato da febbre a 38 gradi. Dal ginocchio sinistro l’attacco infiammatorio si estese subito a quello destro, poi alle articolazioni dei piedi e del braccio.

Per sei mesi i dolori furono vivi e l’ammalata dovette stare immobile nel suo letto. In questo primo periodo la malattia articolare ebbe altre gravi complicazioni, quale il catarro gastro-intestinale, disturbi vescicali con impotenza ad emettere urina, stitichezza per cui dovette essere aiutata con clisteri e, in conseguenza di questi, nel luglio 1919 ebbe una forte emorragia che la indebolì ancor più.

Frattanto nel mese di marzo 1919 aveva pure cominciato a sentire dolori alla regione sacro lombare che si estendevano alle coscie, specialmente alla sinistra. Fu costretta perciò alla posizione supina e le vennero applicati tiraggi alle gambe per vari mesi a fine di alleviarle i dolori. Alla spina dorsale dell’ammalata, in corrispondenza della parte bassa, all’altezza della terza vertebra lombare, comparve una tumefazione grossa quasi come una noce.

Sul finire del 1919 le condizioni dell’ammalata migliorarono relativamente; però la poli-artrite si cronicizzò nell’anchilosi del ginocchio sinistro (gonoartrite) e alla colonna vertebrale (spondilo-artrite) e durò fino alla guarigione.

Nel gennaio 1920 i dolori ripresero con violenza e il Dott. Motti riapplicò all’inferma i pesi alle gambe, lasciandoli fino al 26 maggio. Ebbe così un relativo sollievo, nei mesi estivi, ma coll’ottobre le condizioni ripresero a peggiorare sensibilmente: i dolori non le lasciavano tregua, l’alimentazione si era fatta più difficile, il vomito seguiva all’ingestione del cibo con acuti dolori di stomaco, e diarrea.

Nel gennaio 1921 un catarro bronchiale diffuso venne a complicare il quadro e a questo si aggiunse l’enterocolite cronica « in forma grave e ribelle ad ogni cura » e uno stato di marasma, causato dall’impossibilità in cui era l’ammalata di nutrirsi.

Il caso divenne disperato pel dottore, che, pure continuando la sua cura, riteneva ormai la malattia inguaribile.

Un giorno un’amica suggerì all’ammalata una novena a D. Bosco: essa ne parlò a una Suora (delle Ancelle della Carità) che l’assisteva e questa le confidò a sua volta che in quei giorni in Comunità leggendosi la Vita di Don Bosco era venuta a conoscenza di alcune grazie ottenute per l’intercessione del Servo di Dio.

Piena di speranza Teresa pensò che D. Bosco poteva ottenere anche a lei la guarigione; ne parlò al Curato Don Vittorio Zanelli, il quale l’esortò a disporsi per fare con fede una novena. Una prima fu fatta dall’ammalata nel maggio 1921, ma senza ottenere miglioramento alcuno. Continuò tuttavia a pregare D. Bosco perché le ottenesse almeno di morire dal momento che si era convinta di non poter più guarire. Il 5 luglio però Don Zanelli suggerì all’ammalata di ricominciare con fede una novena a Don Bosco, e ciò essa fece con buona volontà.

Arrivò all’ottavo giorno della novena, sabato 16 luglio. La sera di quel giorno Teresa stava malissimo, e le Suore credevano fosse al termine delle sue sofferenze. Per tutta la notte non potè quasi assopirsi.

« Alle 4 del mattino 17 luglio – racconta la graziata – volgendo lo sguardo verso il comodino, mi vidi comparire un prete di media statura, vestito di nero con le braccia incrociate, capelli neri ricci… gli occhi neri… poggiò una mano sulla mia fronte e l’altra sul comodino… e mi domandò

  • Come stai?
  • Eh!…

Allora egli mi disse : – Alzati !

  • Non son mica capace, risposi.
  • Bugia le gambe, mi soggiunse.

Sentendo « gambe » ho compreso di muovere le gambe; ho provato a muovere la destra e in ciò fare mossi anche la sinistra. E lo potei fare con libertà senza dolore. Mossi liberamente anche il ginocchio.

Chiamo Sr. Gilda gridando: – Suora, Suora, muovo le gambe. – Venne Sr. Gilda dicendomi: – Teresa, sei pazza? E possibile?

E vedendola venire come di corsa, le dissi: – Piano che va ad urtare D. Bosco… A queste parole il prete sorrise. Io credetti che fosse D. Bosco perché stavo pregandolo nella novena: non avevo mai visto prima la sua immagine.

Sentendo che la Suora diceva: – È possibile? – stavo per dire a D. Bosco: – Sente che dice la Suora? Ma non ebbi tempo perchè vidi il prete alzare le mani con le palme rivolte a me e indietreggiare sorridendo e scomparire come dietro una nebbia.

Scomparso il prete, io distinguevo allora distintamente gli oggetti, mentre la sera innanzi avevo la vista debole e confusa. La vista si andò sempre rischiarando durante questa apparizione, così che mentre nei primi momenti vedevo la figura del prete un po’ confusa, poi la vidi sempre più chiara.

Tutto si svolse mentre io era pienamente sveglia e non in sogno.

Ripetei alla Suora: – Muovo le gambe. Ciò dicendo portai le mani alle ginocchia dove non sentivo più dolore e dove era scomparso ogni gonfiore: e mi sedetti liberamente sul letto.

  • Teresa, mi gridò la Suora, sei seduta sul letto?

Le altre ammalate scesero allora dai letti loro e vennero presso di me, in camicia, per toccarmi e constatare coi loro occhi: non avevo più niente.

Buttai via le coperte, scesi dal letto e svelta svelta mi recai nella vicina stanza, da un’amica, a portarle la lieta notizia. Le Suore scendevano allora nella corsia: corsi loro incontro gridando: – Non ho più niente.

Fin dal primo momento mi sentii perfettamente guarita senza alcun dolore e disturbo nel muovermi, con la forza di una persona sana ».

Alle 5,30 la risanata assistette alla S. Messa in ginocchio e alle 7 mangiò una scodella di zuppa.

Andò essa ad aprire la porta quando entrò il Dott. Motti, dicendogli: – Vede? Non ho più niente e sono guarita.

Il giorno seguente il Dott. Motti l’esaminò attentamente. « La trovai completamente guarita – egli attesta – cessata la tosse e nessun sintomo del tanto temuto catarro bronchiale; cessata la diarrea e il vomito; addome in ottime condizioni, il ginocchio sinistro sgonfio e pieghevole: nessun dolore lombare: facile qualunque movimento del tronco: nessun segno di stanchezza del giorno precedente. La ritenni quindi completamente guarita ».

Lo stesso Dott. Motti ha quindi dichiarato: «… Vi erano nella Teresa lesioni anatomopatologiche ben definite e da me constatate, quali il catarro bronchiale, la enterocolite, la gonartrite, lo stato di marasma, che se anche avessero potuto scomparire avrebbero impiegato a farlo un tempo più o meno lungo e delle cure. Ma il fatto di essere guarita istantaneamente e completamente e quando le condizioni sue erano tali da far prevedere un esito infausto non lontano, mi da l’idea che la guarigione sia venuta in modo non spiegabile con le cognizioni mediche e quindi con intervento soprannaturale… Ritengo che nel fatto c’è stato un intervento soprannaturale».

Il collegio dei Periti della S. C. dei Riti ha dato un giudizio pienamente affermativo sulla guarigione prodigiosa di Teresa Calligari, dicendola « guarigione che sia pel complesso sintomatologico, che caratterizzò la malattia, sia pel modo repentino con cui quella avvenne, è uno di quei fatti imponenti, che esula intieramente dal corso naturale delle cose, e trascende e sovverte tutte le leggi della patologia medica ».

(Tratto dal “Bollettino Salesiano” del giugno del 1929)