Ma, nei quattro anni di ginnasio, oltre l’ingegno e la memoria, pare fosse in Giovanni un’altra virtù segreta e straordinaria che l’aiutava. Così opinarono quelli fra i suoi antichi condiscepoli, che ci narrarono i fatti seguenti. Una notte sognò che il maestro aveva dato il lavoro dei posti e che egli stava eseguendolo. Appena svegliato, balzò dal letto e scrisse quel lavoro, cioè il dettato latino; poi si mise a tradurlo e in ciò si fece aiutare da un prete suo amico. Che è che non è, al mattino il professore diede di fatti nella scuola il lavoro dei posti, e precisamente quello stesso tema sognato da Giovanni; dimodochè, senza più usare vocabolari, nè impiegarvi molto tempo, scrisse subito il suo lavoro tale quale si ricordava di averlo fatto nel sogno e gli era stato corretto, e riuscì ottimamente. Interrogato dal maestro, gli espose la cosa ingenuamente, cagionandogli così vivo stupore.

Un’altra volta Giovanni consegnò la pagina del lavoro così presto, che non sembrava possibile al maestro che un giovane avesse potuto in sì breve tempo superare tante difficoltà grammaticali; perciò lesse attentamente quel foglio. Strabiliando nel trovarlo perfetto, comandò che gli portasse la brutta copia nel quaderno. Giovanni gliela diede. Qui nuovi stupori. Il maestro avea preparato quel tema solo nella sera antecedente, ed essendogli riuscito troppo lungo, ne aveva dettato solamente la metà: nel quaderno di Giovanni lo trovò tutto intero, nè una sillaba di più, nè una di meno. Come era andata questa faccenda? Non era possibile che in quel breve tempo Giovanni l’avesse tracopiato, e neppure poteva esservi il minimo dubbio che fosse penetrato nell’abitazione del professore, assai distante da quella ove egli era in pensione. Dunque?… Bosco lo confessò: – Ho sognato. – Per questi e per altri somiglianti avvenimenti, i compagni di pensione lo chiamavano il sognatore.

(1831, MB I, 253-254)