Difatti un giorno avvicinatosi a Giuseppe Turco, col quale era stretto da grande amicizia, mentre lavorava intorno alle viti, questi prese a dirgli: – Ora sei chierico, ben presto sarai prete: e poi che cosa farai? – Giovanni rispose: – Non ho inclinazione a fare il parroco e neppure il vicecurato; ma mi piacerebbe raccogliere intorno a me giovani poveri ed abbandonati per educarli cristianamente ed istruirli.

Incontratolo un altro giorno, gli confidò come egli avesse fatto un sogno, dal quale aveva inteso come col volgere degli anni egli si sarebbe stabilito in un certo luogo, dove avrebbe raccolto un gran numero di giovanetti per istruirli nella via della salute. Non spiegò il luogo, ma sembra che alludesse a quanto raccontò per la prima volta nel 1858 a’ suoi figliuoli dell’Oratorio, fra i quali eravi Cagliero, Rua, Francesia ed altri.

Aveva visto la valle sottostante alla Cascina del Susambrino convertirsi in una grande città, nelle cui strade e piazze scorrevano turbe di fanciulli schiamazzando, giuocando e bestemmiando. Siccome egli aveva in grande orrore la bestemmia ed era di un carattere pronto e vivace, si avvicinò a questi ragazzi, sgridandoli perché bestemmiavano e minacciandoli se non avessero cessato; ma non desistendo essi dal vociare orribili insulti contro Dio e la Madonna Santissima, Giovanni prese a percuoterli. Sennonché gli altri reagirono e, correndogli sopra, lo tempestarono di pugni. Egli si diede alla fuga; ma in quella ecco venirgli incontro un Personaggio, che gli intimò di fermarsi e di ritornare a quei monelli e persuaderli a state buoni e a, non fare il male. Giovanni obbiettò le percosse avute e il peggio che gli sarebbe toccato, se fosse ritornato sopra i suoi passi. Allora quel Personaggio lo presentò ad una nobilissima Signora, che si faceva innanzi, e gli disse: Questa è mia Madre; consigliati con lei. La Signora, fissandolo con uno sguardo pieno di bontà così parlò: Se vuoi guadagnarti questi monelli, non devi affrontarli colle percosse, ma prenderli colla dolcezza e colla persuasione.

E allora, come nel primo sogno, vide i giovani trasformati in belve e poi in pecorelle e in agnelli, ai quali egli prese a far da pastore per ordine di quella Signora. Era il pensiero del Profeta Isaia tradotto in visione: “Daranno gloria a me le bestie selvatiche, i dragoni, gli struzzoli (mutati in figliuoli di Abramo). Questo popolo l’ho formato per me; egli annunzierà le mie laudi (la mia possanza, la mia misericordia)”.[10]

Forse è questa volta che egli vide l’Oratorio con tutti i caseggiati, che erano pronti ad accoglierlo coi suoi biricchini. Infatti D. Bosio, nativo di Castagnole, parroco di Levone Canavese, compagno di D. Bosco nel seminario di Chieri, venuto per la prima volta all’Oratorio nel 1890, arrivato in mezzo al cortile, circondato dai membri del Capitolo superiore della Pia Società di S. Francesco di Sales, girando lo sguardo attorno ed osservando i molteplici edifizii, esclamò:

– Di tutto ciò, che ora vedo qui, nulla mi riesce nuovo. D. Bosco in seminario mi aveva già descritto tutto, come se avesse veduto coi propri occhi ciò che narrava e come io vedo adesso con mirabile esattezza esistere.

E parlando si impossessava di lui una tenerezza profonda al rammentare il compagno e l’amico, Eziandio il teologo Cinzano attestava a D. Gioachino Berto e ad altri avergli detto con sicurezza il giovane Bosco, quando era ancor chierico, che egli in tempo avvenire avrebbe avuto dei preti, dei chierici, dei giovani studenti, dei giovani operai ed una bella musica.

(1837~, MB I, 424-426)