Vita di S. Giovanni Bosco (4ª parte)

Vita di S. Giovanni Bosco (4ª parte)

Da oppressore a promotore

Il ministro Rattazzi, che aveva promosso nel nuovo Regno d’Italia la soppressione delle congregazioni religiose, mandò a chiamare Don Bosco e questi temette che egli volesse chiudere anche le sue opere, ma il ministro gli rispose che al contrario riconosceva la loro utilità sociale. Egli stesso aveva visitato di nascosto l’oratorio di Valdocco e si era reso conto della infondatezza delle calunnie che correvano sul suo conto, restando ammirato dell’opera del santo perché senza di lui le strade di Torino sarebbero state invase da una turba di ragazzi dediti alla microcriminalità.

Così il ministro consigliò a Don Bosco di dare una organizzazione istituzionale alla sua opera così che essa potesse continuare anche dopo di lui e quando il santo gli fece presente che ciò sarebbe stato contrario alla legge di soppressione, il ministro rispose che questa non sarebbe stata di ostacolo purché la società da fondare si conformasse alla legislazione vigente.

L’approvazione del papa

Don Bosco si presentò al Papa Pio IX il quale gli chiese che cosa sarebbe accaduto delle sue opere se egli fosse venuto a mancare. Il santo gli rispose che proprio per quello era venuto a Roma e presentò al papa il progetto di una nuova congregazione che si sarebbe chiamata società per non contravvenire alla legge vigente: i suoi membri sarebbero stati dei religiosi per la chiesa, ma dei semplici cittadini per lo stato.

Il papa si commosse al ricordo che, in occasione della sua fuga a Gaeta nel 1848, i primi a offrire l’obolo di S. Pietro erano stati i ragazzi di Valdocco e ascoltò con ammirata attenzione il racconto che Don Bosco gli fece delle sue opere, ordinandogli di mettere per iscritto le memorie dell’oratorio a gloria di Dio e della Madonna Ausiliatrice. Così Don Bosco poté tornare a Torino con l’approvazione papale per la società salesiana.

Tra i selvaggi

Anche nel sonno Don Bosco lavora perché il suo cervello elabora in sogno le future strategie della sua attività apostolica. Ecco che vede una campagna selvaggia nella quale vagano uomini primitivi dall’aspetto feroce che si azzuffano tra di loro e che, al giungere di alcuni missionari, si fanno loro contro e li uccidono una prima e una seconda volta.

All’arrivo dei salesiani Don Bosco teme che possano fare la stessa fine, ma quei selvaggi li accolgono con mansuetudine disponendosi ad ascoltare i loro insegnamenti. Don Bosco si sveglia e comprende che Dio vuole che i salesiani si facciano missionari, e attende soltanto di sapere a quali popoli debbano rivolgere le loro attenzioni.

Primo drappello

Il primo drappello di missionari salesiani è pronto, costituito da sei sacerdoti e quattro laici che prima di partire si presentano al papa per riceverne la benedizione. Pio IX si rivolge con affetto ai figli di Don Bosco, augurandosi che essi si moltiplichino perché il bisogno di missionari è grande per la messe che è di fronte a loro. La loro presenza è stata richiesta dall’arcivescovo di Buenos Aires e don Bosco ha potuto così individuare i popoli ai quali portare la buona novella: sono i nativi della Patagonia all’estremo sud dell’Argentina che vivono ancora in condizioni di natura in un territorio selvaggio e dalle rigide condizioni climatiche.

Prima della partenza Don Bosco consegna ai suoi missionari il Crocifisso abbracciandoli come un padre tra la commozione dei presenti. Il popolo di Torino raccoglie copiose elemosine per far fronte alle esigenze della missione e con il tempo le opere e le presenze missionarie dei figli di Don Bosco si sono moltiplicate in tutto il mondo.

L’apostolo della Patagonia

A capo dei primi missionari inviati in Patagonia vi è Don Giovanni Cagliero che era stato uno dei primi ragazzi dell’oratorio ad accogliere l’invito di Don Bosco ad assistere i colerosi nell’epidemia del 1854. Egli aveva contratto il morbo e aveva ricevuto gli estremi sacramenti, ma Don Bosco gli aveva assicurato che non aveva nulla da temere.

Guarì infatti e divenne sacerdote: in occasione della sua ordinazione Don Bosco ricordò che quando da ragazzo era in fin di vita egli aveva visto una colomba che volteggiava intorno al suo capo e una turba di selvaggi che lo guardavano con speranza. Don Cagliero fu l’apostolo della Patagonia e per i suoi meriti fu creato cardinale nel 1912, morendo ad ottanta anni nel 1926.

Faremo a metà

Don Bosco si recava abitualmente a confessare gli alunni dei Fratelli delle Scuole Cristiane e fra questi prediligeva un certo Michelino al quale sempre porgeva la mano sinistra facendo con la destra il gesto di tagliarne la metà per dargliela. Con il tempo il ragazzo si trasferì nell’oratorio e vestì l’abito talare per seguire l’esempio del maestro al quale chiese una volta il significato del gesto con il quale lo salutava.

Don Bosco rispose che intendeva dire che loro due dovevano fare a metà. Il giovane era Michele Rua che nel 1860 fu ordinato prete e divenne stabile collaboratore di Don Bosco che si serviva di lui per arrivare dove egli non poteva per i numerosi impegni.

Quando le forze del santo vennero indebolendosi, il papa Leone XIII gli consigliò di scegliersi un vicario che lo potesse coadiuvare nei compiti di governo delle opere. Don Bosco designò Don Michele che, quando il santo morì, gli successe alla guida della società salesiana seguendo così da presso le orme del fondatore da non far capire che la guida era mutata.

La seconda famiglia

Dopo essersi occupato per gran parte della sua vita della gioventù maschile, Don Bosco si rese conto che anche molte ragazze necessitavano di un supporto materiale e di una guida spirituale. Si consultò con il papa dal quale ricevette un caloroso invito a mettersi all’opera anche nei confronti delle fanciulle abbandonate ed ecco che si presenta a lui un sacerdote, Don Pestarino, che gli parla di una congregazione di giovani donne avviatasi fin dal 1855 nella sua parrocchia di Mornese e dedita soprattutto all’assistenza alle fanciulle.

I due sacerdoti si accordarono e il 5 agosto 1872 le pie giovani ricevettero dalle mani di Don Bosco l’abito religioso e la loro congregazione il nome di Figlie di Maria Ausiliatrice. Protette dalla Vergine esse si diffusero in tutto il mondo, nelle scuole, negli ospedali e in terra di missione, pronte ad ogni sacrificio per curare chi soffre. La prima superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice fu Suor Domenica Mazzarello, oggi elevata come santa agli onori degli altari.

Chiesa e stato

Francesco Crispi, uomo politico siciliano, avendo partecipato ai moti del 1848 aveva dovuto abbandonare il Regno delle due Sicilie e si era rifugiato a Torino dove viveva in ristrettezze. Don Bosco lo conobbe e, resosi conto del suo stato di bisogno, per più di un mese e mezzo lo ospitò alla sua mensa a fianco dei ragazzi dell’oratorio. Dopo l’unità d’Italia Crispi fece una rapida carriera politica e divenne ministro dell’interno e nel 1878, alla morte del papa Pio IX, Don Bosco gli si rivolse per sapere se il governo avrebbe rispettato la libertà del conclave che doveva riunirsi per dare un successore al pontefice defunto.

Crispi gli dette ogni assicurazione in proposito e poi, confidenzialmente, chiese a Don Bosco se si ricordasse di quando andava da lui all’oratorio per confessarsi. Celiando il santo rispose che non si ricordava, ma che era comunque pronto a confessarlo anche subito. In quel periodo travagliato per i rapporti tra stato e chiesa, Don Bosco seppe rendere segnalati servigi, soprattutto ottenendo dal governo il placet per la nomina dei vescovi in quanto ben cento diocesi italiane erano rimaste senza pastore e al papa che gli domandava con quale politica procedesse, santo rispose che usava la politica del Pater noster: venga il tuo regno.

lo non c’entro

Nel celebrare la messa Don Bosco si trasforma in un angelo. Tale è il trasporto con il quale compie la divina funzione che talvolta si libra in aria e una mattina il chierico che lo assiste se ne accorge, così come spesso è visto trasfigurato con il viso luminoso ed estatico.

La fama della sua santità si sparge e molti si rivolgono alle sue preghiere per ottenere grazie e guarigioni ma egli sa che tutto ciò che è e che può fare non è altro che un dono di Dio che opera attraverso di lui.

A coloro che si congratulano per le grandiose realizzazioni delle sue opere, egli risponde che lui non c’entra affatto ma che è tutto opera di Dio. Quanto più un’anima si umilia, tanto più il Signore la riempie di grazie e la esalta.

La terza grande famiglia

Con un breve del 9 maggio 1876 Pio IX approvava la costituzione della terza grande famiglia creata per perpetuare le opere salesiane, quella dei cooperatori e delle cooperatrici. Si tratta di una unione simile al terzo ordine delle antiche congregazioni religiose, ma ispirato a principi attuali di apostolato attivo; i cooperatori vivono nel mondo ma, mossi dalla spiritualità salesiana, si adoperano per collaborare secondo i propri mezzi e nell’ambito della propria condizione sociale alla realizzazione degli ideali di Don Bosco. Egli però non si limitò a farne degli ausiliari, ma intese dare loro una perfetta formazione cristiana di modo che soprattutto con l’esempio riuscissero a diffondere le sue idee e a far vivere le sue opere.

Padre benefico

Negli ultimi anni della sua vita Don Bosco è universalmente riconosciuto come un santo: dove passa le miserie del corpo e dello spirito conoscono sollievo. Ovunque si rechi, in Italia e all’estero, è un accorrere di devoti desiderosi di ottenere la sua benedizione e di ascoltare la sua parola. Spesso gli ammalati incurabili sono risanati e non meno numerosi sono coloro che, infermi nello spirito, sono da lui riportati sulla retta via.

A tutti sa rivolgere parole di speranza e di consolazione, ammonendo con dolcezza coloro che non riescono a staccarsi dalla via del peccato. Don Bosco sa che non basta pensare alla salvezza della propria anima perché vi sono altre anime che hanno bisogno della nostra preghiera e del nostro aiuto spirituale per incamminarsi sulla via che porta all’eterna salute, e in questo vivo incendio di carità egli consuma la sua esistenza.

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